Author : Alessandra Salimbene

HomeArticles Posted by Alessandra Salimbene (Page 2)
eblu_berga1206-620x300

La “Voglia d’amare” racchiusa in un mini set fotografico.

La “Voglia d’amare” racchiusa in un mini set fotografico.

Il punto di vista del fotografo del nostro evento di San Valentino
di Claudio Brufola

(il punto di vista di marketing è qui)

Quale migliore location per far vivere o rivivere momenti d’amore, che Parigi. Dunque lo sfondo per collocare la voglia d’amare è stato lo skyline della città di Parigi che si vede dal Trocadéro, immagine icona per molte jeunes couples mariés” in luna di miele.

A_bergamini_corporte_1227

L’amore. Declinato nelle sue molteplici forme è entrato e l’ho fotografato nel punto vendita di Saronno dell’Ottica Bergamini.

Nel 1951 Genemore Bergamini inizia la sua attività, è un momento importante per la storia di Saronno, della Lombardia e del nostro paese. E con tutto l’entusiasmo di quel tempo costruisce la sua impresa, fondata sulle sue capacità professionali, sull’affezione al lavoro e sulla precisa convinzione che l’ottico dovesse mettersi al servizio delle persone, aiutandole a vedere meglio e sentirsi meglio.

eblu_berg1023

 

eblu_ber1356

Una giornata speciale, una giornata densa di passione e gioia, è stata quella del 14 Febbraio appena trascorsa, dedicata all’amore e agli innamorati del mondo.

Durante questo shooting sono apparse ai miei occhi le molte e varie “categorie” d’amore, quella tra una donna e un uomo, quella per se stessi, quella per un figlio o un genitore, quella per il proprio animale e quella per il proprio amico; gli amori che rendono la vita bella e aiutano a superare momenti difficili o di solitudine.

berg_fb_1092

 

eblu_berg1218

Non servono molte parole per intendere l’amore, ma voglio citare chi dell’amore ne ha compreso il senso, come Osho che nel suo “The Sound of Silence, the Diamond in the Lotus”, ne definisce l’aspetto fondamentale.

“L’amore è il nutrimento. Ma l’umanità è stata così confusa dai suoi leader che non conosciamo i regni più nascosti del nostro stesso essere. L’amore è di per se stesso nutrimento. Più ami e più troverai spazi in cui l’amore si espande sempre più intorno a te come un’aura.

Ma quel tipo di amore non è stato permesso da nessuna cultura. Hanno forzato l’amore in un tunnel molto stretto: tu puoi amare tua moglie, tua moglie può amare te; puoi amare i tuoi figli, puoi amare i tuoi genitori, puoi amare i tuoi amici. E hanno fatto sì che due cose si radicassero profondamente in ogni essere umano. Una è che l’amore è qualcosa di molto limitato – amici, famiglia, figli, marito, moglie. E la seconda cosa su cui hanno insistito è che ci sono molti tipi di amore. Ami in una maniera quando ami tuo marito o tua moglie; poi devi usare un altro tipo d’amore quando ami i tuoi figli, e un altro tipo di amore quando ami i tuoi antenati, la tua famiglia, i tuoi insegnanti, e poi un altro tipo di amore per i tuoi amici. Ma la verità è che l’amore non può essere categorizzato nella maniera in cui è stato categorizzato in tutta la storia dell’umanità. Avevano delle ragioni per categorizzarlo, ma le loro ragioni sono brutte e inumane, perché con questa categorizzazione hanno ucciso l’amore…

La ragione per cui tutte le culture hanno insistito sulla categorizzazione è che hanno avuto molta paura dell’amore, perché se nell’esistenza c’è l’amore, esso non conosce confini. E allora non puoi mettere gli indù contro i mussulmani, e non puoi mettere i protestanti contro i cattolici. E non puoi tracciare una linea dicendo che non puoi amare questa persona perché è ebrea, cinese. I leader del mondo volevano dividere il mondo, ma per dividere il mondo hanno dovuto fare una divisione fondamentale, cioè la divisione dell’amore.”

nazario5234-1024x681

C’era una volta il cuoco

di Alessandra Salimbene (The Personal Branding Coach)

A quanto pare il cambiamento è il vero tema fondante la nostra epoca. In ogni ambito (marketing, comunicazione, economia…) il concetto darwiniano di capacità di adattamento a un mondo in continua evoluzione è la base fondante per chi vuole sopravvivere e prosperare in questo mondo 3.0.
Questo tema riguarda tutti, ma in particolar modo gli ambiti professionali che, tutto d’un tratto, si trovano a essere scomodi protagonisti del circo mediatico.

[caption id="attachment_2717" align="alignnone" width="1701"]Nazario e Lucia Biscotti e - Ristorante Le antiche sere - Lesina (FG) Nazario Biscotti e Lucia Schiavone e – Ristorante Le antiche sere – Lesina (FG)[/caption]

Nel mondo dell’enogastronomia questa sorte tocca, pesantemente, la figura dello chef, salito all’onore dei palcoscenici VIP grazie alle varie trasmissioni televisive della famiglia Masterchef e ai personaggi che si sono creati intorno. Cosa è cambiato con questa metamorfosi?
Molte cose. E molte cose simili agli altri ambiti professionali.
Ad esempio, si è “massificata” una sorta di cultura (presunta) della cucina. Tutti si pensano grandi chef o grandi degustatori solo perché seguono trasmissioni televisive, blog e video Youtube.
Gli chef non sono più cuochi, più o meno capaci, ma sono personaggi. Devono avere un’immagine, devono comunicare, devono inventare.
In generale, questa figura è entrata nell’immaginario collettivo come una figura patinata e un po’ mitica, una posizione di privilegio a cui ambire. Con tutto ciò che ne consegue: a partire dalle improbabili patatine in busta raccomandate da Cracco, passando da Bastianich che canta “Quando Quando” a Sanremo e pubblicizza la sfoglia pronta, fino ad arrivare alle decine di corsi che in tempi più o meno rapidi ti promettono di entrare nel firmamento delle grandi cucine.

Ma dov’è la verità? E quali opportunità ci sono per l’enogastronomia, per i veri chef, per il nostro paese che di questa cultura enogastronomica dovrebbe fare tesoro?

[caption id="attachment_2715" align="alignnone" width="4256"]nazario_lucia_5207 Nazario Biscotti e Lucia Schiavone e – Ristorante Le antiche sere – Lesina (FG)[/caption]

 

La verità è che il lavoro dello chef è un lavoro duro che richiede competenza, studio, passione e grande applicazione per essere svolto con successo. La componente creativa e romantica deve fare i conti ogni giorno con orari molto pesanti e con un’attività che di per sé è impegnativa dal punto di vista sociale (generalmente si lavora quando gli altri si divertono) e fisico.

Come molte professioni è però un campo alimentato dalla passione e, si sa, quando il lavoro è passione le difficoltà si affrontano con un altro spirito. I fenomeni cui ho accennato prima hanno complicato un po’ le cose, perché la massificazione crea sempre scompiglio all’inizio, ma nello stesso tempo ha creato ambiti di opportunità. Se è vero che si sono moltiplicati i “concorrenti”, per così dire, è vero anche che si è sviluppata comunque una certa sensibilità al ruolo, una ricerca di qualità, un desiderio di un’esperienza culinaria un po’ più ricercata e gratificante.

Anche per lo chef, quindi, si presenta l’opportunità di cavalcare un cambiamento e comprendere come non basti restare in cucina a creare per ottenere successo. Come tutti i professionisti bisogna mettersi in gioco e diventare un po’ personaggi, sempre di più mettendo la propria faccia al servizio della propria insegna.

In questa ricerca spasmodica di valore, di differenziazione, di unicità le persone amano avere l’illusione di essere messi a parte di un segreto, di un’esperienza unica, co-protagonisti di una storia. E per questo amano e si affezionano e saranno disponibili a fare chilometri per assaggiare il piatto creato da quello chef che ce l’ha raccontato così bene, che magari ha anche un bel sorriso, ma che soprattutto è entrato nella conversazione e ha saputo trasmetterci l’idea, il percorso che lo ha portato fino a lì.

Quindi… c’era una volta il cuoco e oggi c’è lo chef. Che abbia qualcosa da dire, che sappia comunicare, che abbia voglia di uscire dalla cucina per farci vedere che sa sorridere e che è capace di raccontarsi. Tutto in piena coerenza con un meccanismo mediatico che va sempre più la valorizzazione dei talenti dei singoli, delle persone, e sempre meno appresso ai grandi marchi.

Sono conversazioni. E le conversazioni si fanno tra persone.

nazario5350

ladonna

Marketing digitale e identità visiva: le immagini sono contenuto.

di Alessandra Salimbene

Sembra che le aziende abbiano finalmente capito che senza un’attività di comunicazione e marketing non si può vivere e che, ormai, il marketing digitale – ovvero quello veicolato tramite il web, la posta elettronica, i social media – debba essere considerato il centro di ogni attività di comunicazione e promozione aziendale.

In questo orientamento ormai universalmente condiviso, si fa strada anche il concetto per il quale la miglior leva di creazione di valore on line sia proprio la pubblicazione di contenuti validi e originali on line. La logica della rete è quella della condivisione: io ti trasmetto la mia conoscenza, ti do qualcosa di utile (significativo, emozionante) e contemporaneamente tu inizi a conoscermi, a diventare mio amico. Il percorso logico è piuttosto semplice: se quel che mi dai è valido e coerente con ciò che proponi diventerai per me punto di riferimento della tua nicchia e quando avrò bisogno del tuo prodotto / servizio mi rivolgerò a te.

Va da sé, quindi, che per l’azienda che vuole avere una presenza on line efficace sia fondamentale iniziare a pensarsi come azienda editoriale, in grado di comunicare con contenuti validi ed efficaci le proprie competenze e, soprattutto, la propria personalità e la propria storia.

Ciò che va raccontato, infatti, non sono soltanto dati, approfondimenti e informazioni riguardanti prodotti e servizi. Le persone vanno coinvolte, emozionate e le persone vogliono sapere chi siamo, parlare con altre persone, sapere perché e come siamo arrivati dove siamo e come abbiamo costruito l’offerta che stiamo proponendo. E’ la nostra storia che ci rende diversi, e questo va raccontato.

Ma raccontare, on line, non significa solo parole: i mezzi digitali sono per definizione multimediali e la prima forma di multimedialità, la più efficace e fruibile, quella che arriva immediatamente all’obiettivo è proprio l’unione fra testo e immagine.

L’immagine ci consente di raccontare istantaneamente qualcosa: un pezzo della nostra storia, un luogo, un colore. Con l’atteggiamento stesso del nostro corpo possiamo ispirare istantaneamente fiducia o sospetto. L’immagine, abbinata alle parole, ci consente di raccontare storie, trasmettere emozioni e, soprattutto, diventare memorabili.

Fenomeni come le infografiche (schemi sintetici che uniscono dati e statistiche in riquadri grafici e illustrati) o i cosiddetti meme (le citazioni accompagnate da fotografie, che vengono condivisi spesso sui social) sono sintomo di questa esigenza, costante, di arricchire e rendere più rapida la trasmissione del contenuto quando si comunica on line.

L’immagine ha il compito di attirare, di contestualizzare, di identificare l’autore o il tema del contenuto stesso e di renderlo memorabile. Il testo può completare e scendere nei dettagli.

Claudio Brufola autore della mostra “Ombre cinesi in movimento”

Qual è stato il suo primo impatto con la Cina? Cosa la affascina di più in quei luoghi?

Nell’immaginario collettivo la Cina ha due possibili visioni, una data dalle numerose comunità di cinesi che vivono nel nostro paese, l’altra dalla conoscenza documentaria che ognuno di noi ha della realtà cinese che i media illustrano. Bene, nessuna delle due rende l’idea di questo incredibile ed affascinante “continente”. Del mio primo viaggio in Cina, la frase che meglio definisce il mio stato d’animo e’ “un paese meraviglioso e contraddittorio”. La Cina di oggi offre nei suoi aspetti visibili al turista, al viaggiatore, la sua millenaria cultura e nel contempo la sua voglia di riscatto economico. Mostra, con una forza dirompente di una civiltà sopita e mai piegata, la possibilità di essere un paese leader nel prossimo futuro. Il fascino della Cina risiede innanzitutto nei suoi giovani, motivati e determinati, nelle donne che acquistano sempre di più un ruolo fondamentale nella società, ma sopratutto nei tanti adolescenti che liberi di apprendere e di conoscere, saranno una classe dirigente davvero formidabile.

Sicuramente, nel corso dei sui viaggi, avrà avuto la possibilità di cogliere i mille volti di questo Paese, ma c’è, tra gli scatti che propone in “Ombre cinesi in movimento” uno, in particolare, che rappresenta la sua immagine interiore della Cina?

In verità ve ne sono più di uno, ma diciamo che dovendo selezionare ricordo con particolare interesse uno scatto effettuato nelle vicinanze di Lishui, nella provincia dello Zhejiang. Città moderna e produttiva che ha saputo coniugare sviluppo e progresso, mantenendo gli aspetti millenari di un paese dove il tempo scorre in modo completamente diverso dai nostri canoni di misura. In un villaggio sulle rive di un lago, una comunità di pescatori vive la sua tranquilla esistenza nel rispetto della natura e dell’uomo, dove gli anziani mostrano, in un giorno qualunque, serenità giocando a domino. Non ricordo chi affermasse che la felicità di un popolo si misura da quella degli anziani e dei bambini; bene, allora questo popolo e’ a metà strada nella ricerca della felicità.

Perchè proprio “Ombre cinesi in movimento” come titolo della sua collezione?

Come può immaginare, il titolo del monografico lo ha deciso il mio direttore dopo aver visionato il servizio, ma ritengo che la sua decisione sia ineccepibile e molto attinente allo spirito del mio lavoro in Cina. Credo che facendo un parallelo tra l’antica arte delle ombre cinesi, immobili e riflesse, e l’attuale sviluppo economico della Cina di oggi, dobbiamo prendere atto che si preparano ad un cambiamento radicale; le vedremo presto su di una ribalta ben illuminata, a colori e tridimensionali, come del resto il popolo cinese dimostra di essere: un popolo decisamente in movimento.

Si dice che in Cina l’inquinamento renda le città, soprattutto le metropoli, quasi sempre nebbiose, come ricoperte da una cappa di fumo; lei, in quanto fotografo, ha notato una luce particolare che, in qualche modo, ha influenzato i suoi scatti?

In fotografia e’ la luce che determina lo scatto, nel senso che ne determina l’ambientazione. Il tipo di luce, per un reporter non e’ fondamentale, ma sei tu che ti devi adattare a quel tipo di luce e sfruttarla al meglio, “piegarla alle tue necessità “, immaginare il taglio dell’inquadratura, realizzare lo scatto elaborando le tue conoscenze della situazione e del posto in cui sei. Spesso non hai l’opportunità di tornare a ripetere le riprese o rivisitare quei luoghi per mancanza di tempo.
Per cui devi rendere al meglio in qualsiasi situazione, anche di luce. Detto questo posso dire che prima di incamminarti per la tua giornata di lavoro confronti il servizio meteo con i tuoi appunti e decidi quale luce, quale atmosfera meglio si adatta ai luoghi che vuoi mostrare, allo stato d’animo che vuoi trasmettere, alla storia che vuoi raccontare attraverso le tue esperienze. Beijing, come tutte le megalopoli, soffre di un inquinamento pazzesco, ma ci sono anche giornate ventose che rendono il sole visibile ed il cielo azzurro, ma in generale la luce è filtrata da una nebbiolina persistente che rende l’atmosfera ovattata e rarefatta.

Parliamo della foto di Piazza Tian’anmen: la scelta di un’atmosfera cosi’ nebbiosa e’ casuale oppure attentamente studiata per veicolare il ricordo dei terribili avvenimenti che nel 1989 insanguinarono quel posto?

Come accennavo, prima di incamminarmi vedo le previsioni meteo, e così feci quel giorno. La mia intenzione era di mostrare piazza Tienanmen poco percepibile quasi in penombra, un po’ in oblio come lo è per gran parte dei cinesi. Non volevo rendere l’immagine della piazza sfavillante come la vediamo nelle parate militari, ma neppure “noire'” come nei nostri ricordi di occidentali di quei tragici giorni. A vent’anni di distanza avrei voluto mostrarla oggettivamente come è nello spirito e nella volontà della maggioranza dei cinesi oggi, appunto come un ricordo nebbioso e sfumato delle loro coscienze.

Nella sezione “I Mille Volti della Cina” lei presenta scatti di persone cinesi in situazioni di vita quotidiana. Aveva già in mente quali sarebbero stati i Volti della Cina che avrebbe voluto rappresentare oppure e’ stata una scoperta casuale? In sostanza, è stato lei a cercare i suoi soggetti o sono stati loro a trovare lei?

La professione del reporter, se fatta con passione, ha delle regole a cui non puoi sottrarti. Per realizzare un lavoro devi prepararlo prima con ricerche ed idee che poi confronterai ovviamente sul posto. Non volevo raccontare questa piccola parte di Cina in maniera iconoclastica. Mi sono lasciato contaminare da ciò che appariva ai miei occhi, senza applicare preconcetti e sovrastrutture che appartengono al nostro modo di vedere, altrimenti si rischia di essere parziali e di parte. Ripeto, l’idea che avevo era frutto delle mie superficiali conoscenze che si sono imbattute in centinaia di storie da raccontare. Una per tutte: il vecchio Lou che ha combattuto molti anni al fianco di Mao ora vive gli ultimi anni della sua vita sereno, con la sua umile famiglia, ed espone con orgoglio foto e medaglia del Partito sulla parete di legno della sua casa, a ricordo di tutta la sua intera esistenza. Non potrà mai immaginare, che tra la merce polverosa esposta da un rigattiere di Beijing c’e’ un quadro con il ritratto di Mao Tze-Tung che si vende ormai come souvenir per qualche nostalgico turista. In questa professione non ci sono soggetti, ma storie reali che racconti, che saranno poi, per sempre parte della tua vita, della tua storia.

Molte sue foto rappresentano una Cina che sembra lontanissima nel tempo, ancora strettamente legata alle sue tradizioni e alla sua storia e forse poco conosciuta a noi occidentali. Secondo lei, cosa e’ rimasto effettivamente di quel paese tanto distante da noi?

Sinceramente dal punto di vista quantitativo non moltissimo, ma molto ancora per la qualita’ dei luoghi.Forse per come si sono formate le coscienze e le culture dei singoli, che possiamo ancora rivivere aspetti tradizionali e antichi usi comuni. Comunque, ora molte amministrazioni locali sono molto attente a mantenere intatte le risorse anche naturali che racchiudono in se  la storia del popolo cinese.

Noi occidentali, mediamente, abbiamo una percezione ed una conoscenza della Cina che si basa sui prodotti a basso costo dei mercatini rionali, o dei ristorantini delle chinatown sparse per il mondo, o nelle ipotesi migliori dai racconti di Marco Polo. La cultura e la tradizione popolare cinese in moltissime province, fuori dalle grandi metropoli e’ ancora molto viva. Ricordo durante un mio viaggio verso il nord ho potuto assistere ad uno spettacolo teatrale che si svolgeva sulla piazza di un villaggio di poche anime, portato la da una compagnia itinerante di tutto rispetto, e raccontava ancora le gesta di un qualche imperatore, tra i sedici della dinastia Ming. Questi giovani attori riescono ancora a stupire e ad attrarre centinaia di spettatori recitando la storia millenaria di questo paese; del resto come si dice, un paese che non ha memoria del suo passato non ha neanche un futuro. A tal proposito, non riesco ad immaginare una compagnia teatrale  che rappresenti con successo il Giulio Cesare in qualche paesino dell’Irpinia.

Alessandra Spalletta

Visualizza la gallery con le fotografie della mostra

http://www.agichina24.it/l-intervista/notizie/autore-delle-foto-della-mostra-ombre-cinesi-in-movimento