“Con la cultura non si mangia”
Malauguratamente con questa infelice frase un politico stilò chiaramente il profilo mentale di molti italiani.
Ebbene si, molti italiani ne sono convinti e lo credono ed in questa categoria purtroppo entrano in bella compagnia, anche molti “fotografi” o aspiranti tali, che per loro formazione ignorano alcuni presupposti che compongono e danno la maturità professionale in ogni mestiere, che si vorrebbe invece ottenere con scorciatoie comode e alla portata di tutti, con facilità cognitive, con assenza di pensiero, con metodi replicanti, con guardare per copiare, con “workshop take away”.
Di “campus” di “academy” di “on the road” e di simili lodevoli iniziative ormai se ne contano centinaia, la maggior parte con evidenti e precise finalità prettamente commerciali spesso mascherate o addolcite da marketing casareccio e da un circo mediatico che confonde e fa breccia sulle molte “anime belle” che vorrebbero conquistarsi l’ambito appellativo di “photographer” senza alcuno sforzo mnemonico adeguato, come specchi magici, che attirano competenza, stile, creatività che poi avrebbero acquisito una volta tornati umani, ma avendo tra le mani solo giocattoli costosi e nella mente poco o niente.
Generalmente siamo soliti non ricordare le nostre radici, i nostri trascorsi, che danno invece gli strumenti e la giusta misura per capire e confrontare le varie tipologie di offerte commerciali, per avere raziocinio, per avere capacità di scelta sul mercato dei bisogni professionali e su i percorsi di aggiornamento professionale. Stranamente mi sorprendo ancora osservando tanti “operatori fotografici”, che ignorano semplici meccanismi da “televendita” convogliati e indirizzati in “tritatutto fotografici” che prescindono dalla esigenza primaria che un fotografo dovrebbe avere: la cultura.
Del resto se fossimo coscienti di questo concetto “terra-terra” non ci sarebbe questa proliferazione di “personal trainer” che conducendoti per mano ti fa raggiungere in pochi e semplici passi “l’eccellenza fotografica”. Costruire da zero il tuo approccio alla professione semplicemente entrando nel “team”, ma che bella cosa sarebbe.
Anni or sono, quando il fotografo ebbe chiaro di essere un soggetto economico attivo, quando la sua coscienza rivelò che dovesse essere un protagonista, quando vera formazione e informazione gli diede autorevolezza per divenire un interlocutore con le aziende che si nutrono della sua passione e del suo lavoro, iniziò un decennio di collaborazione, di sperimentazione, di lotta all’ignoranza, di affermazione della cultura e della qualità in un “mercato” selvaggio in una professione tutta “self made”.
Furono anni utili alla cultura fotografica, alla professione fotografica e alle aziende di prodotti fotografici, che crebbero anch’esse come coscienza sociale, esperienza imprenditoriale formando, con questa contaminazione, i loro dipendenti e la loro forza vendita, trasformando alcuni di loro da semplici rivenditori di materiali fotografici ad “allenatori personali “.
Questo connubio fece maturare esperienze di uomini e aziende, attraverso format allora innovativi che vengono ancora oggi usati e abusati, in veste decisamente poco innovativa adattandoli, alla meno peggio, ai giorni che viviamo, che sono giorni difficili per tutti.
In questa crisi generale che vede le aziende tagliare investimenti e risorse a causa di un grave restringimento delle vendite, anche il settore della fotografia è in profonda crisi, mostrando numeri preoccupanti che assottigliano sempre di più margini di profitto.
I ricorsi storici, vedono atteggiamenti spesso inefficaci che raschiano il barile vuoto di idee, un inutile film fuori contesto, un contrapporsi al nulla. Se è vero, come diceva Einstein che la crisi economica può essere una grande benedizione per le persone perché la crisi porta progressi, non si deve però pretendere che le cose cambino se continuiamo poi a fare le stesse cose; sarebbe sempre minestra riscaldata.
Signori, in questo modo non si costruisce nessun futuro solido ne per la professione fotografica, ne per le vostre aziende e ne per i vostri futuri clienti, che rimarranno a livelli non competitivi con il resto del mondo, in particolare con i fotografi dei Paesi emergenti.
E qui la faciloneria dovrebbe cedere il passo all’inventiva.
Pensiamo ancora che stare a guardare un “fessacchiotto” passatemi il termine, che scatta foto ad una “modella” o ad una falsa coppia di sposi possa essere utile a qualcuno e indicarci una via giusta verso nuove professionalità richieste per riposizionare l’intero comparto fotografico?
Non sarebbe meglio e utile, spendere il proprio tempo a ricercare nuove idee, attivare confronti su nuovi contenuti e nuove forme espressive per acquisire un proprio stile professionale ? Non sarebbe meglio e utile, investire in ricerca e studiare i meccanismi che coinvolgono la comunicazione visiva con linguaggi e strumenti moderni per nuove forme di promozione personale ?
Capisco che la filosofia aziendale del profitto non può attendere e deve fare utili tutti i giorni, ma una maggiore consapevolezza e una decisa riflessione sull’utilità anche sociale di figure professionali consapevoli e preparate, può essere nel tempo una ricchezza e una rinascita per questo settore che sta regredendo paurosamente.
La fotografia ha subito nell’ultimo ventennio una serie di rivoluzioni e grandi cambiamenti nel modo di intendere la professione, portando a una crisi diffusa delle attività impostate in modo tradizionale. L’avvento del digitale, poi la diffusione di strumenti “ibridi” per la fotografia come smartphone e infine i social media, hanno reso la fotografia accessibile alla massa, modificando i gusti, le abitudini e le possibilità di condivisione, trasmutandone perfino la funzione sociale.
Un panorama apparentemente apocalittico può nascondere anche grandi opportunità, per chi ha la capacità di ripensarsi e cambiare prospettiva.
Se è vero che la fotografia è diventata “di tutti” è vero anche che il mercato dei potenziali estimatori della fotografia professionale si è moltiplicato.
Se è vero che c’è immagine ovunque è vero anche che si sono moltiplicati i canali tramite il quale un bravo professionista può esprimersi.
Forse sarebbe il caso di rivedere alcune priorità e ascoltare la propria coscienza di formatori, dando risposte serie a reali richieste di apprendimento, di conoscenza, di cultura.