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Un po’ d’amore e un po’ di shopping experience

Un po’ d’amore e un po’ di shopping experience

Il punto di vista di marketing sul nostro evento di San Valentino
di Alessandra Salimbene – http://www.thepersonalbrandingcoach.net

(il punto di vista del fotografo, è qui)

Non potevo, quest’anno, non dedicare un post proprio alla festa dell’amore, che molto ha a che fare con il marketing (se non altro per la sua indole commerciale) e, soprattutto, poiché questo 14 febbraio ho organizzato insieme a Claudio Bru (www.eblu.it) un evento speciale presso l’Ottica Bergamini di Saronno, bellissima azienda e mio cliente storico.

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Il nostro mestiere di comunicatori si presta a continue sperimentazioni. Non esistono ricette, non esistono molte regole e l’evoluzione di tutto il mondo on line e, soprattutto, dei social, ci costringe a inventarci sempre nuove modalità, spesso non codificate, per valorizzare le attività dei nostri clienti.

In questo caso, siamo partiti dall’esigenza di creare movimento e attenzione sui social, ma senza fare qualcosa di banale e fine a se stesso, piuttosto cercando di creare qualcosa di veramente memorabile.
Ferma nella mia convinzione che l’attività di comunicazione on line sia qualcosa di strettamente legato al mondo cosiddetto “reale” o, meglio, ne sia parte, ho provato ad applicare l’idea nell’ideare un evento. Sono stata aiutata dal calendario (San Valentino che cade di sabato è una combinazione molto favorevole) e ho immaginato qualcosa di veramente coinvolgente.

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L’idea di base è stata quella di portare le persone in negozio per un ritratto d’autore, che avesse in qualche modo un tema romantico. Siamo partiti dal bistrot e siamo arrivati a un bellissimo fondale con la Tour Eiffel, simbolo della città considerata dai più proprio la capitale dell’amore romantico.
Un po’ di comunicazione preventiva per invitare la clientela del centro ottico e la popolazione di Saronno a partecipare… e ci siamo lanciati in questo nuovo esperimento. Una giornata in prima linea che ci ha riempiti di soddisfazione e ci ha confermato e insegnato tantissime cose.

In primo luogo, la conferma che il punto vendita può (e deve) essere utilizzato sempre di più come una piattaforma relazionale: invitare le persone per vivere un’esperienza, così emotivamente coinvolgente, legata all’amore, e all’amore di ogni tipo (era questo il messaggio dell’iniziativa) è qualcosa di estremamente gratificante.

Abbiamo portato a Parigi, tramite questi ritratti: madri con i loro bambini, coppie di amici, sposi stagionati e coppie di ragazzini, famiglie con i loro cani adorati e anche single un po’ malinconici e un po’ innamorati di sè.

La conferma più grande è stata che la fotografia ha un aspetto esperienzale fortissimo. Che è in grado di fermare davvero il sentimento di un momento, di creare un ricordo. In condizioni tecniche non favorevoli, con persone assolutamente non abituate a trovarsi davanti alla fotocamera (e in qualche caso non abituate neanche a sorridere) sono venuti fuori ritratti pieni di vita, di emozione, in alcuni casi di gioia pura.

Gran parte del merito di questo esito è dato da chi sta dietro l’obiettivo: chi con impegno, pazienza e una poderosa dose di empatia ha saputo far sentire protagonista ognuna delle quasi 60 coppie che ha immortalato in una giornata.

Consegnavo le fotografie stampate al momento ai protagonisti del nostro breve viaggio e vedevo nei loro occhi la felicità di un gesto dimenticato da tempo, quello legato alla fotografia stampata, che il digitale ci ha rubato.

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Le reazioni sono state varie e variegate, ma i ringraziamenti si sono sprecati. Le persone erano davvero contente, sinceramente.

Come consulente di marketing, credo che questo evento abbia superato le aspettative: a distanza di 48 ore le interazioni su Facebook sono dell’ordine delle migliaia. In sede d’evento vi è stato grandissimo interesse per il negozio.

Ma di tutti i risultati ottenuti credo che il più importante, il più memorabile sia stato quello di regalare un momento di vero amore a chi è venuto a trovarci.

Siamo riusciti a prendere spunto da un’occasione così commerciale, in un ambito altrettanto commerciale come un negozio e ci abbiamo messo amore vero, che si è sentito e si è visto.

Tanto merito va a questi imprenditori che, nell’accettare la nostra proposta e il nostro progetto, hanno capito quanto fosse importante regalare un’emozione bella e vera ai propri clienti, un’emozione che è già un ricordo.

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C’era una volta il cuoco

di Alessandra Salimbene (The Personal Branding Coach)

A quanto pare il cambiamento è il vero tema fondante la nostra epoca. In ogni ambito (marketing, comunicazione, economia…) il concetto darwiniano di capacità di adattamento a un mondo in continua evoluzione è la base fondante per chi vuole sopravvivere e prosperare in questo mondo 3.0.
Questo tema riguarda tutti, ma in particolar modo gli ambiti professionali che, tutto d’un tratto, si trovano a essere scomodi protagonisti del circo mediatico.

[caption id="attachment_2717" align="alignnone" width="1701"]Nazario e Lucia Biscotti e - Ristorante Le antiche sere - Lesina (FG) Nazario Biscotti e Lucia Schiavone e – Ristorante Le antiche sere – Lesina (FG)[/caption]

Nel mondo dell’enogastronomia questa sorte tocca, pesantemente, la figura dello chef, salito all’onore dei palcoscenici VIP grazie alle varie trasmissioni televisive della famiglia Masterchef e ai personaggi che si sono creati intorno. Cosa è cambiato con questa metamorfosi?
Molte cose. E molte cose simili agli altri ambiti professionali.
Ad esempio, si è “massificata” una sorta di cultura (presunta) della cucina. Tutti si pensano grandi chef o grandi degustatori solo perché seguono trasmissioni televisive, blog e video Youtube.
Gli chef non sono più cuochi, più o meno capaci, ma sono personaggi. Devono avere un’immagine, devono comunicare, devono inventare.
In generale, questa figura è entrata nell’immaginario collettivo come una figura patinata e un po’ mitica, una posizione di privilegio a cui ambire. Con tutto ciò che ne consegue: a partire dalle improbabili patatine in busta raccomandate da Cracco, passando da Bastianich che canta “Quando Quando” a Sanremo e pubblicizza la sfoglia pronta, fino ad arrivare alle decine di corsi che in tempi più o meno rapidi ti promettono di entrare nel firmamento delle grandi cucine.

Ma dov’è la verità? E quali opportunità ci sono per l’enogastronomia, per i veri chef, per il nostro paese che di questa cultura enogastronomica dovrebbe fare tesoro?

[caption id="attachment_2715" align="alignnone" width="4256"]nazario_lucia_5207 Nazario Biscotti e Lucia Schiavone e – Ristorante Le antiche sere – Lesina (FG)[/caption]

 

La verità è che il lavoro dello chef è un lavoro duro che richiede competenza, studio, passione e grande applicazione per essere svolto con successo. La componente creativa e romantica deve fare i conti ogni giorno con orari molto pesanti e con un’attività che di per sé è impegnativa dal punto di vista sociale (generalmente si lavora quando gli altri si divertono) e fisico.

Come molte professioni è però un campo alimentato dalla passione e, si sa, quando il lavoro è passione le difficoltà si affrontano con un altro spirito. I fenomeni cui ho accennato prima hanno complicato un po’ le cose, perché la massificazione crea sempre scompiglio all’inizio, ma nello stesso tempo ha creato ambiti di opportunità. Se è vero che si sono moltiplicati i “concorrenti”, per così dire, è vero anche che si è sviluppata comunque una certa sensibilità al ruolo, una ricerca di qualità, un desiderio di un’esperienza culinaria un po’ più ricercata e gratificante.

Anche per lo chef, quindi, si presenta l’opportunità di cavalcare un cambiamento e comprendere come non basti restare in cucina a creare per ottenere successo. Come tutti i professionisti bisogna mettersi in gioco e diventare un po’ personaggi, sempre di più mettendo la propria faccia al servizio della propria insegna.

In questa ricerca spasmodica di valore, di differenziazione, di unicità le persone amano avere l’illusione di essere messi a parte di un segreto, di un’esperienza unica, co-protagonisti di una storia. E per questo amano e si affezionano e saranno disponibili a fare chilometri per assaggiare il piatto creato da quello chef che ce l’ha raccontato così bene, che magari ha anche un bel sorriso, ma che soprattutto è entrato nella conversazione e ha saputo trasmetterci l’idea, il percorso che lo ha portato fino a lì.

Quindi… c’era una volta il cuoco e oggi c’è lo chef. Che abbia qualcosa da dire, che sappia comunicare, che abbia voglia di uscire dalla cucina per farci vedere che sa sorridere e che è capace di raccontarsi. Tutto in piena coerenza con un meccanismo mediatico che va sempre più la valorizzazione dei talenti dei singoli, delle persone, e sempre meno appresso ai grandi marchi.

Sono conversazioni. E le conversazioni si fanno tra persone.

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“Con la cultura non si mangia”

“Con la cultura non si mangia”
Malauguratamente con questa infelice frase un politico stilò chiaramente il profilo mentale di molti italiani.

Ebbene si, molti italiani ne sono convinti e lo credono ed in questa categoria purtroppo entrano in bella compagnia, anche molti “fotografi” o aspiranti tali, che per loro formazione ignorano alcuni presupposti che compongono e danno la maturità professionale in ogni mestiere, che si vorrebbe invece ottenere con scorciatoie comode e alla portata di tutti, con facilità cognitive, con assenza di pensiero, con metodi replicanti, con guardare per copiare, con “workshop take away”.

Di “campus” di “academy” di “on the road” e di simili lodevoli iniziative ormai se ne contano centinaia, la maggior parte con evidenti e precise finalità prettamente commerciali spesso mascherate o addolcite da marketing casareccio e da un circo mediatico che confonde e fa breccia sulle molte “anime belle” che vorrebbero conquistarsi l’ambito appellativo di “photographer” senza alcuno sforzo mnemonico adeguato, come specchi magici, che attirano competenza, stile, creatività che poi avrebbero acquisito una volta tornati umani, ma avendo tra le mani solo giocattoli costosi e nella mente poco o niente.

Generalmente siamo soliti non ricordare le nostre radici, i nostri trascorsi, che danno invece gli strumenti e la giusta misura per capire e confrontare le varie tipologie di offerte commerciali, per avere raziocinio, per avere capacità di scelta sul mercato dei bisogni professionali e su i percorsi di aggiornamento professionale. Stranamente mi sorprendo ancora osservando tanti “operatori fotografici”, che ignorano semplici meccanismi da “televendita” convogliati e indirizzati in “tritatutto fotografici” che prescindono dalla esigenza primaria che un fotografo dovrebbe avere: la cultura.

Del resto se fossimo coscienti di questo concetto “terra-terra” non ci sarebbe questa proliferazione di “personal trainer” che conducendoti per mano ti fa raggiungere in pochi e semplici passi “l’eccellenza fotografica”. Costruire da zero il tuo approccio alla professione semplicemente entrando nel “team”, ma che bella cosa sarebbe.

Anni or sono, quando il fotografo ebbe chiaro di essere un soggetto economico attivo, quando la sua coscienza rivelò che dovesse essere un protagonista, quando vera formazione e informazione gli diede autorevolezza per divenire un interlocutore con le aziende che si nutrono della sua passione e del suo lavoro, iniziò un decennio di collaborazione, di sperimentazione, di lotta all’ignoranza, di affermazione della cultura e della qualità in un “mercato” selvaggio in una professione tutta “self made”.

Furono anni utili alla cultura fotografica, alla professione fotografica e alle aziende di prodotti fotografici, che crebbero anch’esse come coscienza sociale, esperienza imprenditoriale formando, con questa contaminazione, i loro dipendenti e la loro forza vendita, trasformando alcuni di loro da semplici rivenditori di materiali fotografici ad “allenatori personali “.

Questo connubio fece maturare esperienze di uomini e aziende, attraverso format allora innovativi che vengono ancora oggi usati e abusati, in veste decisamente poco innovativa adattandoli, alla meno peggio, ai giorni che viviamo, che sono giorni difficili per tutti.

In questa crisi generale che vede le aziende tagliare investimenti e risorse a causa di un grave restringimento delle vendite, anche il settore della fotografia è in profonda crisi, mostrando numeri preoccupanti che assottigliano sempre di più margini di profitto.

I ricorsi storici, vedono atteggiamenti spesso inefficaci che raschiano il barile vuoto di idee, un inutile film fuori contesto, un contrapporsi al nulla. Se è vero, come diceva Einstein che la crisi economica può essere una grande bene­di­zione per le per­sone per­ché la crisi porta pro­gressi, non si deve però pretendere che le cose cam­bino se con­ti­nuiamo poi a fare le stesse cose; sarebbe sempre minestra riscaldata.

Signori, in questo modo non si costruisce nessun futuro solido ne per la professione fotografica, ne per le vostre aziende e ne per i vostri futuri clienti, che rimarranno a livelli non competitivi con il resto del mondo, in particolare con i fotografi dei Paesi emergenti.

E qui la faciloneria dovrebbe cedere il passo all’inventiva.

Pensiamo ancora che stare a guardare un “fessacchiotto” passatemi il termine, che scatta foto ad una “modella” o ad una falsa coppia di sposi possa essere utile a qualcuno e indicarci una via giusta verso nuove professionalità richieste per riposizionare l’intero comparto fotografico?

Non sarebbe meglio e utile, spendere il proprio tempo a ricercare nuove idee, attivare confronti su nuovi contenuti e nuove forme espressive per acquisire un proprio stile professionale ? Non sarebbe meglio e utile, investire in ricerca e studiare i meccanismi che coinvolgono la comunicazione visiva con linguaggi e strumenti moderni per nuove forme di promozione personale ?

Capisco che la filosofia aziendale del profitto non può attendere e deve fare utili tutti i giorni, ma una maggiore consapevolezza e una decisa riflessione sull’utilità anche sociale di figure professionali consapevoli e preparate, può essere nel tempo una ricchezza e una rinascita per questo settore che sta regredendo paurosamente.

La fotografia ha subito nell’ultimo ventennio una serie di rivoluzioni e grandi cambiamenti nel modo di intendere la professione, portando a una crisi diffusa delle attività impostate in modo tradizionale. L’avvento del digitale, poi la diffusione di strumenti “ibridi” per la fotografia come smartphone e infine i social media, hanno reso la fotografia accessibile alla massa, modificando i gusti, le abitudini e le possibilità di condivisione, trasmutandone perfino la funzione sociale.

Un panorama apparentemente apocalittico può nascondere anche grandi opportunità, per chi ha la capacità di ripensarsi e cambiare prospettiva.

Se è vero che la fotografia è diventata “di tutti” è vero anche che il mercato dei potenziali estimatori della fotografia professionale si è moltiplicato.

Se è vero che c’è immagine ovunque è vero anche che si sono moltiplicati i canali tramite il quale un bravo professionista può esprimersi.

Forse sarebbe il caso di rivedere alcune priorità e ascoltare la propria coscienza di formatori, dando risposte serie a reali richieste di apprendimento, di conoscenza, di cultura.

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Marketing digitale e identità visiva: le immagini sono contenuto.

di Alessandra Salimbene

Sembra che le aziende abbiano finalmente capito che senza un’attività di comunicazione e marketing non si può vivere e che, ormai, il marketing digitale – ovvero quello veicolato tramite il web, la posta elettronica, i social media – debba essere considerato il centro di ogni attività di comunicazione e promozione aziendale.

In questo orientamento ormai universalmente condiviso, si fa strada anche il concetto per il quale la miglior leva di creazione di valore on line sia proprio la pubblicazione di contenuti validi e originali on line. La logica della rete è quella della condivisione: io ti trasmetto la mia conoscenza, ti do qualcosa di utile (significativo, emozionante) e contemporaneamente tu inizi a conoscermi, a diventare mio amico. Il percorso logico è piuttosto semplice: se quel che mi dai è valido e coerente con ciò che proponi diventerai per me punto di riferimento della tua nicchia e quando avrò bisogno del tuo prodotto / servizio mi rivolgerò a te.

Va da sé, quindi, che per l’azienda che vuole avere una presenza on line efficace sia fondamentale iniziare a pensarsi come azienda editoriale, in grado di comunicare con contenuti validi ed efficaci le proprie competenze e, soprattutto, la propria personalità e la propria storia.

Ciò che va raccontato, infatti, non sono soltanto dati, approfondimenti e informazioni riguardanti prodotti e servizi. Le persone vanno coinvolte, emozionate e le persone vogliono sapere chi siamo, parlare con altre persone, sapere perché e come siamo arrivati dove siamo e come abbiamo costruito l’offerta che stiamo proponendo. E’ la nostra storia che ci rende diversi, e questo va raccontato.

Ma raccontare, on line, non significa solo parole: i mezzi digitali sono per definizione multimediali e la prima forma di multimedialità, la più efficace e fruibile, quella che arriva immediatamente all’obiettivo è proprio l’unione fra testo e immagine.

L’immagine ci consente di raccontare istantaneamente qualcosa: un pezzo della nostra storia, un luogo, un colore. Con l’atteggiamento stesso del nostro corpo possiamo ispirare istantaneamente fiducia o sospetto. L’immagine, abbinata alle parole, ci consente di raccontare storie, trasmettere emozioni e, soprattutto, diventare memorabili.

Fenomeni come le infografiche (schemi sintetici che uniscono dati e statistiche in riquadri grafici e illustrati) o i cosiddetti meme (le citazioni accompagnate da fotografie, che vengono condivisi spesso sui social) sono sintomo di questa esigenza, costante, di arricchire e rendere più rapida la trasmissione del contenuto quando si comunica on line.

L’immagine ha il compito di attirare, di contestualizzare, di identificare l’autore o il tema del contenuto stesso e di renderlo memorabile. Il testo può completare e scendere nei dettagli.